Note sul luogo detto Egitto in Borgo

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Dato il suo notevole interesse, si riporta di seguito un articolo redatto dal nostro socio Riccardo M. De Paoli e già pubblicato dalla prestigiosa rivista «Alma Roma» LIII (2012), XVIII n.s., n.1-3, pp.39-48, che ha dato gentilmente il suo consenso.

La Fraternitas Aurigarum.

Tra i moltissimi e curiosi toponimi di contrade e località che sono testimoniati dalle fonti antiche e medievali riguardo la città di Roma, in questo articolo voglio ricordare quello di Egitto: un toponimo molto raro, attestato solo nel corso del XVI secolo e da localizzare in Borgo, oltre la tribuna della basilica costantiniana di San Pietro.

Il 12 Maggio 1493, a quanto mi risulta, per la prima volta è ricordata dai Libri Censuali della Basilica Vaticana una domuncula posita in l(oco) q(ui) d(icitur) Aegyptus, retro tribunam1.

Solo due anni più tardi, quindi nel 1495, è ricordata una domus Basilicae Sancti Petri retro tribunam in loco vocato Egipto 2.

Al 17 Gennaio 1522, invece, risale un testamento redatto retro sanctum Petrum in domo Juliani de Lenis in loco dicto in Aegypto 3.

Poche finora quindi le indicazioni presenti nei vari documenti, che si limitano a porre il nostro toponimo oltre la zona absidale della Basilica Vaticana.

Finalmente un documento, databile al 1540, che ne permette una migliore localizzazione: in esso si ricorda una domuncula in burgo sancti Petri supra Campum Sanctum in loco nuncupato Egipto versus meridiem seu vicum Armellinum4. La casa in questione è localizzata nel locus nuncupatus Egyptus, verso mezzogiorno, vicino al Campo Santo Teutonico. Molto importante l’accenno al vicus Armellinus, che nel nome appare evidentemente legato alle proprietà del cardinal Francesco Armellini, quanto la vicina piazza Armellina5. Esso conduceva dalla piazza di Santa Marta (detta anche de’Scarpellini o Tevertini) ai bastioni presso porta Fabbrica. Il toponimo Egyptus sembra quindi estendersi dal Campo Santo Teutonico fino alle mura della città.

Al 1565 risale un altro documento che ricorda alcune case in Borgo Vecchio presso la Basilica di San Pietro in luogo detto Egipto6.

E’ datato invece al 17 Settembre 1581 un documento ricordato ancora da Lanciani7, che menziona la possessionem domus site in regione egipta, cui sunt confines ab uno domus R.d. Joannis de Pelestrina magistri capelle S.ti Petri ab alio… bastione burgi et via publica. Interessantissimo, quindi, questo documento, in cui è ricordata la casa di Pierluigi da Palestrina, che da diverse fonti sappiamo essere stato proprietario di un edificio proprio al già ricordato vicolo Armellino, presso Porta Fabbrica, da lui abitato dal 1571 al momento della morte, avvenuta nel 15948; inoltre questo documento ricorda tra i confini della domus le mura della città e una via, probabilmente la Strada di Campo Santo (nr.1269 nella pianta di Nolli). Il vicus Armellinus prese poi nome dal grande musicista e fu detto vicolo del Palestrino (o del Pelestrino) fino al XVIII secolo, quando acquistò quello di Perugino (mutandolo dal vicino omonimo vicolo, nr.1268), che mantenne fino alla distruzione.9

Probabilmente alla stessa abitazione si riferisce il documento riportato da Gnoli10, che menziona una domum sitam Romae in Burgo retro ecclesiam S.ti Petri in loco vulgariter detto l’Egitto.

E proprio nella casa del famoso musicista, posta in Burgo S. Petri in loco detto Egitto, fu rogato un atto che lo riguardava in data 17 Aprile 158911.

L’ultimo documento, nel quale sia ricordata la località Egitto, è menzionato dallo Gnoli e dal Lanciani12, relativamente al giorno 10 Giugno 1590: in esso viene ricordata una domus sita in Burgo retro Campum Sanctum, in via recta in loco ubi dicitur legitto. Probabilmente via recta è il vicus Armellinus.

Dopo questa data non abbiamo più testimonianze del nostro toponimo, di cui abbiamo seguito varie attestazioni per tutto l’arco del XVI secolo: ma resta da indagare la sua origine, sulla base degli stessi, pochi documenti.

Dai testi esaminati abbiamo avuto chiare indicazioni che il luogo detto Egitto era da porsi alla sinistra dell’abside dell’antica Basilica Vaticana, quindi verso mezzogiorno, tra il Campo Santo Teutonico e la chiesa di S. Stefano degli Abissini, limitato dalle mura urbane. Siamo quindi nelle immediate vicinanze dell’Obelisco Vaticano, l’unico, tra i molti della città, che fosse rimasto in alzato e nel sito originale dall’epoca antica. Ma di questo torneremo a parlare più tardi.

Il toponimo Egitto viene collegato da autorevoli studiosi, quali Armellini, Hülsen e Gnoli13, a quello di in o ad Palmata, proprio dell’antichissima chiesa di Sant’Apollinare ad Palmata, che sorgeva a sinistra della facciata della basilica costantiniana, iuxta scalas Basilicae (non però retro basilicam14); fondata da Onorio I, essa era già stata ridotta a stalla quando fu distrutta intorno al 1610. Lo Gnoli15 ricorda come “il nome della località Egitto è spesso accompagnato da in ovvero ad Palmata”, ma né lui né altri autori portano documenti a sostegno di questa affermazione, che quindi resta tutta da verificare. Se essa fosse confermata, dovremmo allora pensare ad un’estensione del toponimo almeno fino all’attuale Arco delle Campane.

Tornando a ciò che concerne strettamente il nostro toponimo, è necessario dapprima riflettere sull’occorrenza cronologica del medesimo: esso appare menzionato solo nel corso del XVI secolo, e dal materiale in nostro possesso non appare chiaro se la sua attestazione sia in realtà più antica o se il suo uso nasca proprio in quegli anni, forse in seguito ad una qualche scoperta archeologica a soggetto egizio di particolare rilievo. Proprio nel medesimo periodo, infatti, il Rossellino aveva iniziata la costruzione, poi interrotta alla morte di Nicolò V (1455), di una nuova cappella del coro alle spalle dell’abside costantiniana; e conseguentemente dovettero venire alla luce un gran numero di reperti archeologici provenienti dalla necropoli vaticana o da altri edifici cultuali pagani della zona.

Non possiamo, poi, non porre in relazione al nostro toponimo l’immediata vicinanza dell’obelisco vaticano, ancora posto nella spina del circus Gai et Neronis, anche se esso non viene mai ricordato dai documenti precedentemente esaminati. Già magister Gregorius, però, che scrive nel XII/XIII secolo16, mostra di avere del tutto perduta la cognizione dell’origine egizia dell’obelisco, che d’altronde non presenta geroglifici. Esso viene da lui confuso con la colonna del Foro ricordata da Svetonio17, presso la quale Cesare, nel giorno della sua morte, avrebbe incontrato l’astrologo Spurinna che vanamente lo avvertiva della congiura. E conferma di questa ricostruzione era ritenuto proprio il nome di Cesare che si legge sull’epigrafe dell’obelisco18. In altri luoghi quest’ultimo è ricordato col nome di agulia Caesaris 19(da ricondurre certamente al termine acus, ago), ma etimologie fantastiche collegavano questo termine a letture quali acus Iulia o addirittura aquila Caesaris. E in ultimo magister Gregorius ricordava la Pyramis Iulii Caesaris quae…habet in summitate sphaeram aeneam in qua cineres et ossa Iulii Caesaris condita sunt20. Ma nulla affatto sull’origine egizia dell’obelisco, che possa far pensare ad un qualunque legame con il toponimo che stiamo esaminando in questo studio.

Secondo Pietrangeli21, invece, il toponimo Egitto testimonia il persistente ricordo della presenza in Vaticano di luoghi di culto e monumenti legati al mondo egizio oppure orientale in generale: soprattutto il Phrygianum, legato al culto di Cibele e Attis, da localizzarsi forse presso l’attuale facciata della Basilica, ma anche la grande piramide sotto S. Maria in Traspontina o il mausoleo Z (o degli Egizi) nella necropoli vaticana e lo stesso obelisco. Proprio il Phrygianum dovette essere un importantissimo centro religioso legato alle divinità orientali, se due epigrafi provenienti da altrettante località dell’Impero ricordano il locale santuario con il nome di Vaticanum o Mons Vaticanus: l’una proviene da Lugdunum (l’odierna Lione) e risale al 160 d.C.; l’altra da Kastel (vicino Magonza) ed è databile al 23622. Da esse si evince che il santuario romano era divenuto quasi il modello di tutti gli altri luoghi di culto orientali sparsi nel mondo romano, come con il nome di Capitolium si indicava in tutte le città dell’Impero il santuario cittadino più importante23.

La più soddisfacente ipotesi sull’origine del toponimo Egitto viene però suggerita da una attenta lettura del testo di Armellini. A proposito della chiesa di Santo Stefano degli Abissini e dell’annesso monastero, l’Autore24 ricorda come il papa Sisto IV Della Rovere (1471-84) l’ avesse affidata non più al Capitolo di San Pietro, ma ai monaci abissini, e che da allora fosse ricordata anche come Santo Stefano in Egitto25.

Infatti ancora il Martinelli alla metà del XVII secolo, nel suo Roma ex ethnica sacra26, ricorda l’(ecclesia) S. Stephani in Aegypto. In Vaticano; templum Aegyptiorum sive Abassinorum (sic), qui vulgo dicuntur, Indiani.

E Cancellieri, un secolo più tardi, ricorda ancora che ex horum (cioè dei monaci abissini) nomine factum est, ut Aedes appellari coeperit S. Stephani in Aegypto, vulgo de’ Mori27.

Non posso non tacere in questa sede la debole spiegazione del toponimo Aegyptus, proposta da Lanciani e ripresa da Armellini28: quella cioè che esso sarebbe derivato dalla presenza di alberi di palma piantati dai monaci abissini nei pressi dell’abside della basilica Vaticana.

In conclusione sembra quindi più plausibile proporre che, proprio poco dopo l’arrivo dei monaci abissini, all’intera zona abitata intorno alla chiesa di Santo Stefano si sia esteso l’uso del toponimo Egitto; e a riprova di ciò si può ricordare come Hülsen nel catalogo delle chiese romane del 1492 ricordi questa chiesa proprio retro basilicam sancti Petri29. Il suo uso evidentemente continuò per tutto il XVI secolo, ma rapidamente se ne perse il ricordo.

Riccardo M. De Paoli


Allegati:

  1. particolare carta del Tempesta (1593)
  2. particolare carta del Nolli (1748)
  3. veduta del Piranesi (1748)

ALLEGATO 1

Carta del Tempesta (1593), dalla quale appare evidente la topografia della zona; la porta Fabbrica però non appare affatto riportata.

ALLEGATO 2


Dalla pianta del Nolli, che riporta la situazione della zona prima della costruzione della nuova Sacrestia della Basilica di San Pietro (1748)

  1. Vicolo de’Ranocchiari (già dello Scalone) 1275 nella mappa
  2. Vicolo della Gallinella (già del Carraro)
  3. Vicolo dell’Armellino (poi del Pelestrino, infine del Perugino)
  4. Vicolo della Porticella (poi di Porta Fabbrica, infine della Sacrestia)

1268) Vicolo del Perugino, poi di Monte Calato

1269) Strada di Campo Santo

1270) Strada del Braccio

ALLEGATO 3

Veduta del Piranesi da piazza Santa Marta verso l’imbocco della Strada del Braccio (nr.1270 della pianta del Nolli); si può notare al centro l’antica sacrestia della basilica Vaticana, distrutta nell’ultimo venticinquennio del Settecento.

NOTE

  1. R. LANCIANI, Notae topographicae de Burgo Sancti Petri, in Memorie della Pont. Accad. Rom . di Archeologia, vol. I (1923), pp. 238-9.
  2. R. LANCIANI ibidem.
  3. R. LANCIANI ibidem.
  4. R. LANCIANI ibidem.
  5. Appellativo col quale è talvolta ricordata nelle fonti la piazza di Santa Marta. R. GNOLI, Topografia e toponomastica di Roma medievale e moderna, Roma 1939, p.26; A. CAMETTI, Le case di Giovanni Pierluigi da Palestrina in Roma. La casa in Borgo San Pietro, in Rivista Musicale Italiana 3/1921, p.428; P. ADINOLFI, La portica di San Pietro, Roma 1859, p.46.
  6. R. LANCIANI, Storia degli scavi di Roma, vol.IV, notae p.108 e R. LANCIANI, Notae, p.239.
  7. R. LANCIANI, Storia degli scavi, p.70 e R. LANCIANI, Notae p 239.
  8. A. CAMETTI, Il Palestrina e il suo commercio di pelliccerie, in ASR 1921, p.217. Di questa casa è oggi memoria in un’epigrafe murata sul vicino Palazzo di San Carlo in Vaticano: AA.VV, Guide del Vaticano. La città, parte occidentale, Roma 1989, p.49.
  9. G. ALVERI, Della Roma in ogni stato, Roma 1664, tomo III, p.222.
  10. R. GNOLI, op. cit., p. 99 e R. LANCIANI, Storia degli scavi, p.70.
  11. A. CAMETTI, op. cit., ibidem.
  12. R. GNOLI, op. cit., p. 99 e R. LANCIANI, ibidem.
  13. M. ARMELLINI – C. CECCHELLI, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Roma 1942, pp. 916-1256; C. HÜLSEN, Le chiese di Roma nel Medio Evo, 1927 p. 201; R. GNOLI, op. cit., p.99.
  14. M. ARMELLINI – C. CECCHELLI, loc.cit.; F. LOMBARDO, Le Chiese scomparse, Roma 1996, p.348-
  15. R.GNOLI, op. cit, p.99
  16. De Mirabilibus Urbis Romae in R. VALENTINI – G. ZUCCHETTI, Codice topografico della città di Roma, 1946, III, pp.136-167.
  17. Svetonius, De vita duodecim Caesarum, Caesar, 85.
  18. In realtà l’epigrafe ricorda Augusto (Caesari Augusto… filio divi Juli) e Tiberio (Ti(beri) Caesari Augusto filio divi Augusti).
  19. Mirabilia Urbis Romae, 18, in VALENTINI ZUCCHETTI op. cit., pp. 17-65.
  20. De mirabilibus Urbis Romae, 29, in VALENTINI ZUCCHETTI op. cit. , 136-167.
  21. C. PIETRANGELI, Rilievo votivo con divinità alessandrine da via della Conciliazione, in Capitolium 1942, pp.130-138.
  22. CIL XII, 1751 e XIII, 7281
  23. Sul Phrygianum v. P. LIVERANI, in Roma archeologica, VII itinerario, L’ansa sinistra del Tevere e l’isola Tiberina, Trastevere, Vaticano, marzo 2000, pp. 63-64; C. SFAMENI, in Roma archeologica, XXI itinerario, I culti orientali a Roma, febbraio 2004, pp. 14-16.
  24. M. ARMELLINI – C. CECCHELLI, pp. 930 e 1453/54; sulla chiesa v. anche R. LEFEVRE, S. Stefano dei Mori, in Capitolium XL (1965), pp. 448-454.
  25. 25 E alla stessa conclusione è giunto il Bianchi, che ricorda come la nuova abitazione del Palestrina si trovasse nella “località stretta tra il fianco della basilica e le mura urbiche che circondano la basilica, chiamata popolarmente Egitto dalla presenza della chiesa, tuttora esistente, e dell’annesso istituto dei sacerdoti Abissini” (L. BIANCHI, Palestrina nella vita e nelle opere del suo tempo, Palestrina 1995, p.135 ; invece il Cametti (in Le case di Giovanni Pierluigi da Palestrina. La casa in Borgo san Pietro, p.422) ricorda a proposito la famiglia romana degli Egipti, della quale esisterebbero diverse testimonianze in atti del XVI secolo.
  26. F. MARTINELLI, Roma ex ethnica sacra, Roma 1668, pp. 308/9.
  27. F. CANCELLIERI, De Secretariis novae basilicae Vaticanae, liber II, p.1527, Roma 1786.
  28. ARMELLINI, op. cit. p.739; R. LANCIANI, Notae, p.238. Armellini non sembra affatto tener conto di quanto ha ricordato relativamente alla chiesa di Santo Stefano degli Abissini (v. nota n. 24).
  29. C. HÜLSEN, op. cit. p.73 n.117.