La libertà promessa

  • di

Per libertà s’intende, negativamente, l’assenza di coercizione (intellettuale, morale e pratica), positivamente, poi, s’intende l’autodeterminazione, sempre in rapporto, però, con un concreto ambiente sociale.

La religione è costituita, prima di tutto, dalla professione di fede e quindi dal suo essenziale patrimonio dottrinale; poi, dall’insito bisogno di comunicare la fede e quindi dal suo essenziale slancio missionario e propagandistico; in terzo luogo dall’adorazione, ossia dal culto e dalle opere che necessariamente conseguono al culto, sul piano dell’intelligenza (la fermentazione della cultura) e della carità in tutte le dimensioni sociali e anche economiche.

Il diritto di libertà religiosa è pubblico, dappertutto costituzionalmente incontestato – almeno in astratto – anche se ne vengono poi limitate le espressioni. La preoccupazione generale degli Stati è di evitare o almeno di rimuovere ciò che nell’esercizio di questo diritto provoca turbamento. L’attuale concetto costituzionalistico italiano di religione è di tipo sociologico-statistico e riflette l’opinione discutibile che gli Italiani, nella stragrande maggioranza, professino una religione, la cattolica. E’ una formula che lascia in sospeso molte perplessità e che va giudicata sul piano dell’utilità. A certi nemici del cattolicesimo fa comodo parlare di religione di Stato, dato il loro intento di far poi prevalere lo Stato sulla religione: si servono della formula per avanzare diritti di limitazione delle espressioni religiose.

I limiti del diritto di libertà religiosa dovrebbero essere soltanto quelli del buon costume e dell’ordine pubblico. E’ da notare che la nostra costituzione, all’art. 8, dice che la religione dei cittadini non è “tollerata” o “ammessa”, ma è una realtà autonoma che ha il suo pieno diritto, con la quale lo Stato si propone di entrare in rapporto sulla base di intese reciproche, ossia sulla base del principio pattizio (il che vale di tutte le religioni degli Italiani).

E’ un’affermazione molto bella, questa, ma – naturalmente – bisogna vedere come la normativa costituzionale è poi attuata nella legislazione ordinaria e nella prassi amministrativa.

Infatti nella Costituzione stanno scritte molte belle cose; per esempio sta scritto che il cittadino ha diritto al lavoro in questa Repubblica fondata sul lavoro; però questo diritto al lavoro viene poi beffato in svariatissimi e maliziosissimi modi. E’ la sorte che talvolta capita al diritto di libertà religiosa, che fra i diritti di libertà è senz’altro quello primario.

Dicevamo che gli Stati si preoccupano, generalmente, nei loro ordinamenti, di evitare – o almeno di rimuovere – le turbative connesse col diritto di libertà religiosa. In pratica avanzano pretese assai limitative.

La cosa più grave si verifica quando lo Stato vuol decidere lui, discrezionalmente, sulle qualità del fenomeno religioso, col segreto proposito di ridurre la religione a un fatto meramente culturale e privato. Questa abnorme pretesa dello Stato illuminista e giurisdizionalista è sopravvissuta all’Ottocento. E’ una pretesa in fragrante contraddizione col concetto stesso di libertà religiosa.

Per esempio: gli Ebrei hanno poco culto e molta attività sociale: dove le loro comunità sono consistenti danno immediatamente fastidio allo Stato che rivendica alla sua cosiddetta sovranità di invadere il dominio del sacro. Analoga sorte tocca ai Cristiani e perfino in Stati cosiddetti cristiani e non di rado. Anche qui in Italia le cose non vanno in modo soddisfacente.

Per esempio: la legge italiana riconosce alla gerarchia cattolica libertà di magistero, ma quando osa davvero parlare allora si leva subito un coro di proteste e la si accusa di ingerenza politica, come si è visto quando i Vescovi hanno dichiarato che i cattolici sarebbero entrati in contraddizione con la loro coscienza religiosa se avessero permesso l’introduzione del divorzio e dell’aborto nella loro legislazione.

Un altro esempio: l’art. 33 della Costituzione riconosce il diritto alla scuola liberamente organizzata, ma quando un governo Moro – il primo, se non sbaglio – osò porre nei capitoli di spesa un contributo per le spese, a quelle scuole che, con legge del 1928, hanno dallo Stato una delega e un contributo – quel governo dovette soccombere: e così, fra l’altro, fu mortificata l’iniziativa scolastica, sotto il pretesto religioso, o meglio antireligioso. I radicali hanno l’obiettivo di far abolire l’insegnamento religioso in tutte le scuole e già ostacolano come possono i sacerdoti che a scuola insegnano religione sul serio. I Vescovi dell’Emilia-Romagna hanno pubblicamente protestato per le difficoltà che continuamente incontrano gli istituti cattolici nelle provincie rosse. Anche la Curia milanese ha protestato contro la discriminazione fatta valere contro iniziative culturali cattoliche. In varie parti le suore insegnanti hanno dovuto subire varie vessazioni. Anche contro l’università cattolica del S. Cuore si appuntano odiose difficoltà.

Un terzo esempio, relativo, questa volta, al campo assistenziale. Nel 1890 lo Stato cosiddetto liberale avocò a sé ogni forma d’assistenza pubblica: il risultato è che nell’organizzazione della carità non c’è libertà. Per essere concreto: nel campo ospedaliero, secondo la legge sull’aborto, vien rispettata solo l’obiezione di coscienza del medico e del personale infermieristico e per niente affatto quella dell’organizzazione nella quale lavorano: le cliniche cattoliche convenzionate sarebbero così obbligate a compiere aborti! Anche la Conferenza Episcopale piemontese, presieduta dal card. Pellegrino, ha protestato contro la discriminazione nella contribuzione statale cui sono soggetti gli enti ecclesiastici che esercitano attività assistenziali. Nella prassi amministrativa si giunge a una fiscalizzazione repressiva: non si dà riconoscimento del valore sociale delle iniziative religiose, viste meramente come iniziative private e, per giunta, speculative! E così si strangolano, o almeno lo si tenta!

Per chiudere aggiungerò che varie volte si son fatte valere le bottiglie molotov contro i sacerdoti ostinati nel compiere il loro ministero di predicazione o di fermentazione cristiana della cultura. Varie volte sono state profanate chiese per opera di gente che non è neppure ignota, almeno ideologicamente. Quando le cosiddette femministe entrarono nel Duomo di Milano urlando bestemmie contro ciò che è sacro e insulti contro i Vescovi, un giornale comunista di Roma commentò: “Il terrorismo politico può non piacere, però ha una sua funzione”. Allora non si ha ragione a chiedere: dove sono le promesse libertà democratiche che dovrebbero essere garantite ai cittadini che rispettano le leggi? Ma ormai è il Papa stesso – ossia il simbolo più nevralgico del cattolicesimo – a essere apertamente e impunemente insultato; e allora non si ha ragione a dichiarare: quando si verificano queste cose e il popolo tace, vuol dire che si è toccato il fondo dell’indifferenza morale e che più nulla, neppure la libertà democratica, si salva?

Don Ennio Innocenti